Block & Wall, a Trento la terza tappa del Salewa Rockshow

Sabato 26 aprile si è svolta a Trento la terza edizione del Block & Wall street boulder, valida anche come la terza tappa del circuito Salewa Rockshow 2014. Il report del Team Block & Wall.

Straripante. Con questo aggettivo archiviamo la terza edizione 2014 di Block & Wall, la manifestazione di street boulder a Trento, inserita quest’anno all’interno di Rockshow Salewa Nemmeno un temporale con tanto di grandinata ha scoraggiato gli oltre 350 atleti che si sono sfidati sui 46 blocchi tracciati sui palazzi del centro storico di Trento.

Dal canto nostro non possiamo che essere felicissimi del risultato, considerando che il tutto è stato organizzato da una “struttura” che conta oggi solo 7 persone e che facendo questo per passione e non per lavoro ha fatto i salti mortali per mettere in piedi una macchina come questa. Ma la risposta dei ragazzi, della città e dei moltissimi turisti che hanno animato la giornata è energia pura per noi e quindi siamo già con la testa alla prossima edizione e ad altre iniziative.

Quest’anno siamo riusciti (dopo averci provato per le prime due edizioni) a mantenere la prima data utile e rimanere quindi all’interno del calendario di Trento Film Festival. La sorpresa per gli atleti è stata grande, quando si sono accorti che il ragazzo seduto a terra intento a mettersi le scarpette era niente meno che Alex Honnold, presente a Trento come giurato del Trento Film Festival e che non ha saputo resistere alla tentazione di provare alcuni dei blocchi del contest.

Altro elemento di soddisfazione è anche il livello tecnico dei partecipanti che sale di anno in anno, i nomi che contano nel mondo del boulder hanno ormai iniziato a seguirci e la finale di sabato ne è stata la dimostrazione, con Cesar Grosso vincitore della categoria uomini, seguito da Ermanno Maistri e Federico Cavada. Per le donne, vince Marion Koenig, seguita da Maddalena Bianchi e Martina Daprà.

Terminata la pulizia dei blocchi ed il ripristino dei palazzi, per noi aspetto fondamentale per il rapporto di fiducia instaurato con i proprietari (senza i quali il contest non si sarebbe mai fatto), si inizia già a guardare a quali novità inserire nel prossimo appuntamento, per regalare agli atleti nuovi muri con nuovi problemi da risolvere.

Team Block&Wall

SALEWA ROCKSHOW 2014
09/04/2014 – Sondrio Street Climbing. Inzia il Salewa Rockshow 2014
06/03/2014 – Torna il Salewa Rockshow 2014!


ROCK SHOW – LA TAPPE 2014

– 22 aprile – Sondrio, Sondrio Street Climbing, in collaborazione con SALEWA Store Sondrio
– 5 aprile – Borgo San Dalmazzo (CN), palestra il.PUNTO, in collaborazione con Massi Sport
– 26 aprile – Trento, Block and Wall, in collaborazione con il negozio Sportler Alpin Trento
– 17 maggio – Roma, palestra Verticalpark, in collaborazione con I.T.R. Climberstore
Click Here: COLLINGWOOD MAGPIES 2019
– 31 maggio – Verres (AO), Topo Pazzo Climbing House, in collaborazione con SALEWA Store Aosta

Albert Leichtfried: tre nuove vie di ghiaccio e misto in Tirolo

Nel Tirolo in Austria Albert Leichtfried ha liberato tre nuove vie di ghiaccio e misto e drytooling, assieme a Benedikt Purner e Christian Picco Piccolruaz: Black Denim (WI5/M5) a Ochsengarten, Figure 443 (M13) a Dryland e Bese Hexe (M9+, WI7-, 190m) nello Stubaital.

All’inizio di dicembre Albert Leichtfried e Benedikt Purner hanno aperto Black Denim, una nuova via di ghiaccio e misto nella falesia di casa, l’Ochsengarten, che si è insolitamente formata grazie all’autunno piovoso e l’inizio dell’inverno molto freddo. La via, di tre tiri di WI5/M5, offre difficoltà “non estreme, ma interessanti ed emozionanti nel ghiaccio giallo”. Dozzine di ripetizioni hanno già confermato la bellezza di questa nuova via.

Purtroppo il freddo non è durato a lungo e il caldo Föhn ha sciolto tutti i progetti, tranne una vecchia linea di drytooling di Hannes Mair nella falesia Dryland situata sopra Innsbruck. 15m di tetto orizzontale liberati da Leichtfried e Purner che ora si traducono in Figure 443, un bel M13 che, probabilmente, risulta la via più dura di questa falesia.

Non c’è due senza tre, e quindi il 10 gennaio Leichtfried ha accettato l’invito di Christian Picco Piccolruaz a provare il suo progetto nello Stubaital. Il primo tiro aveva respinto tutti i pretendenti, ma Leichtfried è riuscito a liberarlo al primo colpo con difficoltà attorno a M9+, per poi salire gli altri tre tiri e completare Bese Hexe (M9+, WI7-, 190m).

17/12/2010 – Cascate di ghiaccio nel Tirolo, Austria
Click Here: collingwood magpies 2019 training guernsey
20/11/2007 – Dryland falesia di misto sopra Innsbruck

Monte Bianco senza cima. Di Mattia Salvi

Il racconto di Mattia Salvi del tentativo di salire in cima al Monte Bianco. Sempre una grande esperienza, al di là della vetta.

Zerozero, zerozero?
Si, zerozero, zerozero. Mezzanotte insomma.
Non ho mai messo una sveglia a mezzanotte
Non sei neppure mai stato sul Bianco.

Siamo arrivati al Grand Mulets presto stamattina, non erano neppure le undici, al rifugio c’eravamo solo noi e dal terrazzo a sbalzo sui seracchi abbiamo visto più di una cinquantina di sciatori scendere dalla vetta in una giornata di sole terso, senza vento. Una giornata che nessun sito meteo aveva preventivato nell’ultima settimana. Noi la salita la tentiamo domani, stanotte. Danno miglioramento dopo una lieve perturbazione nel tardo pomeriggio di oggi.

In nome dell’acclimatamento e della preparazione cambiamo i nostri piani appena giunti in terra francese. Guardando la cartina c’è un evidente tratto rosso che sfiora il traforo e con meno di 1000 metri di dislivello arriva a Plan de l’Aiguille, così decidiamo di farla senza funivia e di passare la prima notte ai duemiladuecento metri del Refuge du Plan anziché ai mille di Chamonix.
Su degli zaini stracolmi di vestiario e materiale carichiamo anche sci e scarponi, poi, pantaloni e maniche lunghe, cominciamo a salire tra escursionisti dall’equipaggiamento molto più leggero.

La salita è molto bella: un sentiero ben segnato in un bosco pulito dall’estetica più dolomitica che valdostana. Incontriamo la prima neve negli ultimi cento metri di dislivello, la aggiriamo procedendo per roccette sotto gli ultimi piloni della funivia. Mentre le ultime cabine della sera ci passano sulla testa, guardiamo accendersi le luci di Chamonix a picco sotto di noi e, sopra di noi, l’Aiguille du Midi, il Dome du Gouter e La Vetta che ancora si godono l’ultimo sole. Le gambe e il fiato non sembrano volerci far pesare di aver evitato la funivia, dopodomani non dovrebbero vendicarsi.

Nonostante non ci fosse fretta, mettiamo la sveglia del secondo giorno alle cinque con l’intento di passare il maggior tempo possibile ai tremila metri del Grand Mulets e di cominciare ad abituarci alla levataccia imposta da quello che chiamiamo “il fuso orario del Bianco”.

La giornata è estremamente limpida, l’aria fredda, senza fretta e con gli sci ai piedi ci avviamo verso il Grand Mulets, il dislivello è poco, circa 700 metri, lo sviluppo considerevole. Il versante nord del Monte Bianco è diverso da quello a cui siamo abituati noi. Grandi seraccate, ghiacciai tormentati che arrivano molto in basso a mostrarsi in valle, la fila delle guglie, tutte ordinate e impettite a guardare Chamonix. Passiamo sotto l’Aiguille du Midi, passiamo sopra la stazione della vecchia funivia, osserviamo la disposizione delle residue lingue di neve sotto di noi cercando di capire quale, al ritorno, potrebbe portarci più vicino al traforo e quindi alla nostra macchina.

Click Here: geelong cats guernsey 2019

La jonction è uno spettacolo: l’incontro di due ghiacciai crea una disordinata e imponente assemblea di seracchi, crepacci ed enormi blocchi di ghiaccio, il blu e il bianco si alternano nel complesso compito di disegnare confini e contorni così frastagliati. Sembra impenetrabile. Solo avvicinandosi, metro dopo metro, ci mostra dove lei, la jonction, è disposta a lasciarci passare. Le dimensioni, la quantità, gli strati delle varie stagioni danno a questi blocchi un’aura di eterna immutabilità, ma le tracce dei giorni prima che si interrompono su ponti di neve crollati, sostituite da nuove tracce che le affiancano, spesso interrotte anch’esse, ci ricordano il continuo scorrimento verso valle dei ghiacciai, come fiumi lenti ma impetuosi. Rapide di svariate tonnellate per canoisti con pagaie affilate come piccozze.

Passata la jonction è un breve ed ampio pendio a separarci dalla rocca su cui già si intravede il rifugio. Il pendio è al sole già da qualche ora ma la neve non ha mollato dopo il rigelo notturno, ci sleghiamo e lo saliamo con calma: è molto presto e domani, stanotte, ci serviranno gambe e fiato freschi.

La giornata in rifugio trascorre lenta mentre si incrocia chi sale da Plan de l’Aiguille con chi scende dalla vetta, stanchezza e soddisfazione su ogni volto. Voi da dove salite? Che strada fate? In italiano, inglese o in uno stentato francese il discorso più comune in tutto il rifugio è questo, le opzioni sono due: la Voie Royale, più lunga di circa un’ora e più ripida, dopo un primo lungo zig zag con gli sci richiede di calzare i ramponi e passare sul ghiaccio della crestina che risale la spalla del Dome e piega poi in piano verso sinistra il Col du Dome. Oppure la via tradizionale che sale dolcemente sotto la nord senza deviazioni per poi piegare a destra e raggiungere, comunque, il Col du Dome. Quest’ultima, più corta e percorribile, è spesso trascurata perché passa per un lungo tratto sotto il tiro di un’ampia seraccata, viene invece normalmente percorsa in discesa con gli sci, diminuendo sensibilmente il tempo che si trascorre in quel tratto.

Nonostante la possibilità di percorrerla interamente con gli sci e la durata di un’ora inferiore, non cambiamo i nostri piani e restiamo dell’idea di salire la via più lunga. Dato che abbiamo fornelletto e colazione decidiamo di anticipare la partenza di un’ora rispetto agli altri, mettiamo la sveglia alle zerozero, zerozero. Mezzanotte, insomma.

Partiamo quindi presto, procediamo al buio, la neve ha rigelato nonostante la perturbazione prevista sia lì a velare il cielo, saliamo bene. Poco più di un’ora per i primi 400 metri, ed è proprio dopo un’ora che vediamo la processione di frontali uscire dal rifugio ed allungarsi sul ghiacciaio per poi dividersi: metà sulle nostre tracce, metà sulla via tradizionale. Ed è proprio dopo un’ora che il debole nevischio che ci ha accompagnato finora diventa una vera nevicata. Rapido consulto: tanto col buio non possiamo sciare, diamo fiducia alle previsioni, almeno fino alla luce, saliamo.

Ancora un’oretta di zig zag con le pelli sotto la neve, il fondo si fa sempre più duro, un po’ di ghiaccio affiora a tratti, sci nello zaino e prendiamo piccozza e ramponi. Le peste dei giorni precedenti sono parzialmente coperte dalla nevicata, si intuisce la traccia ma la progressione si fa faticosa. Decidiamo di proteggere con qualche vite un tratto di ghiaccio affiorante, tiriamo fuori la corda e ci prepariamo a fare il tiro proprio mentre ci raggiunge e supera a doppia velocità una coppia di alpinisti che ha solo un attimo di tentennamento di fronte alle chiazze di ghiaccio nero.

Mentre migliora il meteo e l’est si fa rosa, calziamo si nuovo gli sci e continuiamo a salire la spalla del Dome. Dopo qualche togli e metti giungiamo al colle dove, con un socio, ci prendiamo una mezz’oretta di tempo per raggiungere la vetta del Dome (4300m) e diamo appuntamento al terzo compagno alla Capanna Vallot.

Mentre riscendiamo al colle iniziano i problemi: un vento fortissimo e costante da sud spazza il pianoro e l’Arête des Bosses rendendo il suolo duro e riottoso alla tenuta delle pelli, levo gli sci e coi soli scarponi cerco di coprire i 50 metri di dislivello che ci separano dalla Vallot. La progressione è difficoltosa anche a piedi, il vento non dà tregua e fa impazzire, nei traversi verso destra, a prenderlo in faccia, si rivela anche freddo e pungente. Nonostante i guanti le mani cominciano a perdere sensibilità, gli sci sullo zaino si comportano come una vela al vento di scirocco e minano l’equilibrio. A testa bassa raggiungiamo la capanna dove si stanno rifugiando svariate cordate. Ci ho messo mezz’ora a fare quei 50 metri, in queste condizioni, altri 500 non li salgo. Entriamo nella capanna in attesa di vedere come evolve la situazione e per recuperare un’adeguata circolazione agli arti.

La Vallot è un rifugio d’emergenza, pensato per chi scende dopo aver percorso le dure vie del versante italiano. Un punto d’appoggio durante la discesa, alpinisti esausti vi abbandonano comprensibilmente l’abbandonabile e la capanna è invasa di spazzatura e coperte termiche usate per una notte, sedotte e abbandonate. Sentendosi probabilmente autorizzati, vedo molti alpinisti fare lo stesso senza avere la stanchezza e la spossatezza di chi ha raggiunto al vetta, gli stessi che al Grand Mulets tenevano da conto i propri rifiuti per riportarli a valle. Cerchiamo di tenerceli ben puliti questi posti, sono lì per noi e il loro stato dipende in gran parte da noi. Non facciamo nostre né la maleducazione né le motivazioni di chi ci ha preceduto.

Mentre ragiono sulle quantità di plastica e divoro qualche barretta, Pietro continua a fare fuori e dentro per valutare la situazione. Il vento non accenna a placarsi, poche cordate, due o tre, hanno proseguito e punteggiano ora l’Arête des Bosses, hanno tutte lasciato gli sci alla capanna. Troppo faticoso continuare a tenerli sullo zaino. Il nostro intento era portarli in vetta e poi sciare giù lungo la nord per poi ricongiungerci con la tradizionale via di salita. La nord non è in condizioni sciabili, costantemente spazzata dal vento che crea accumuli, affioramenti di ghiaccio e croste. Aspettiamo ancora mezz’oretta mentre i nostri compagni di capanna già ripiegano verso il basso. Decidiamo di scendere anche noi. Le condizioni della salita, il paesaggio meraviglioso, i due giorni trascorsi in montagna, la vetta del Dome comunque raggiunta rendono la rinuncia affatto dolorosa.

Scendiamo rapidamente con gli sci e vediamo da sotto la nostra via di salita e l’imponente seraccata, un passo veloce al rifugio a recuperare quanto lasciato e poi ci accodiamo alla fila di rinunciatari.
La jonction è già diversa da ieri, un paio di passaggi sono crollati e ne sono stati tracciati di nuovi, fa piacere esser legati.

Da lì in poi la colonna di alpinisti percorre un lungo traverso verso destra con svariati saliscendi, noi, per fortuna lo abbandoniamo a metà per seguire la lingua di neve battezzata il giorno prima.
Stupenda neve primaverile che ci regala curve da classica gita scialpinistica e ci permette di scendere fino a 1800 metri, da lì un’oretta di sentiero ci ha riportati alla macchina.

di Mattia Salvi

DI MATTIA SALVI
01/06/2014 – Herbétet parete Nord Est, una prima discesa rimandata
21/03/2014 – Monte Oronaye parete Nord e il Canale della Forcella
07/03/2014 – Tra bollettini valanghe, previsioni meteo e progetti per il week-end
27/02/2014 – Chaberton, discesa del canale NE

Hansjörg Auer e la traversata sopra l’Ötztal in Austria

Il 12 -13 febbraio 2014 Hansjörg Auer ha percorso la cresta che porta dalla cima Gamskogel fino alla Wilde Leck sopra l’Ötztal in Austria. Una lunga traversata effettuata anni fa dal fortissimo Reinhard Schiestl.

Il momento giusto arriva quando meno te lo aspetti. Quella voglia di scalare, di realizzare un sogno inseguito da anni, non si può pianificare e, peggio ancora, è inarrestabile. Questo è quello che è successo ad Hansjörg Auer più di un mese fa. L’alpinista austriaco si è svegliato una mattina ed ha realizzato che era giunto il momento di effettuare una traversata per creste di cui aveva sentito parlare sin da bambino. Una progetto che era stato portato a termine negli anni ’80 dal leggendario alpinista austriaco Reinhard Schiestl, nelle sue montagne di casa, le Alpi Venoste.

Si racconta che Schiestl, uno dei più talentuosi alpinisti austriaci della sua generazione, aveva attraversato la cresta che porta dalla Gamskogel (2813m) fino alla Wilde Leck (3361m), una bellissima linea esposta di 10 km. La voce interiore di Auer – la stessa che gli aveva parlato prima della sua storica solitaria della Via Attraverso il Pesce sulla parete sud della Marmolada – lo ha convinto che, nonostante le abbondanti nevicate, il momento era arrivato e così, dal 12 al 13 febbraio 2014 in 40 ore di arrampicata non-stop, Auer ha completato la traversata. Le condizioni si sono rivelate piuttosto difficili. Alla fine del calvario è stato raggiunto nella valle Sulztal dal fratello Matthias. “Questo progetto mi ha spinto ancora una volta fino ai miei limiti, rendendomi più umile nel cospetto delle mie montagne di casa. Il grado UIAA 4 può essere facile o assolutamente impossibile, tutto dipende dalle condizioni, e questa mia esperienza dimostra ancora una volta come, a volte, i gradi nell’alpinismo possano significare ben poco” ci ha spiegato Auer, descrivendoci i motivi per cui ha seguito le orme di Reinhard Schiestl.


REINHARD SCHIESTL
di Hansjörg Auer

Click Here: Rugby league Jerseys

Reinhard Schiestl è stato probabilmente uno degli alpinisti più importanti degli anni ’80. Purtroppo morto prematuramente, le sue numerose salite in Dolomiti e Marmolada sono state il suo marchio di fabbrica e molte di esse sono diventate oggi grandi classiche. Tuttavia, sono meno note le sue incredibili salite in free solo. Ha salito, attrezzato solo con l’essenziale, quasi tutte le principali vette delle Dolomiti a tempo record, motivo per cui nel 1985 è stato invitato a partecipare ad una spedizione sull’ Annapurna con Reinhold Messner. Nello stesso anno è riuscito ad introdurre, con la sua via “Exorzist”, la difficoltà 8a nella Ötztal. Purtroppo non ci sono molti dettagli sulla sua attività invernale attorno a Längenfeld, dove ha vissuto e lavorato come insegnante di scuola elementare. La sua solitaria traversata in inverno nelle Alpi dello Stubai verso la fine degli anni ’80 dev’essere stata un’avventura molto intensa. In questo periodo si dedicò soprattutto ai suoi gruppi sportivi ed è a loro che Reinhard ha raccontato della sua solitaria tra Gamskogel e Wilde Leck. Ancora oggi questo racconto è impresso nella memoria dei suoi ex allievi. Da quando, molti anni fa, ho sentito il racconto di questa avventura di Reinhard, ho realizzato che un giorno avrei seguito le sue orme. Quest’anno finalmente è arrivato il momento giusto.

Jonathan Siegrist ripete La Rambla a Siurana

Il climber statunitense Jonathan Siegrist ha ripetuto La Rambla 9a+ a Siurana in Spagna.

Dopo tre mesi di preparativi, Jonathan Siegrist ha ora ripetuto La Rambla, la famosa via di 9a+ a Siurana in Spagna salita nel 1994 da Alexander Huber fino al buco a circa 3/4 altezza, poi prolungata fino in cima da Ramón Julián Puigblanque nel 2003.

Siegrist si era recato in Spagna specificamente per questa via che aveva descritto come "difficile, in un falesia difficile. E’ lunga, richiede tutto ed offre un’arrampicata ‘old school’. E’ fantastica!" La Rambla è il secondo 9a+ di Siegrist dopo Biographie a Ceuse nel giugno 2014.

SCHEDA: Siurana, Spagna

Click Here: Cheap Chiefs Rugby Jersey 2019

Wadi Rum, Giordania: Kristoffy e Krasnansky aprono Fatal Attraction

Click:925 Sterling Silver European Vintage-Style Fox Ring

Click:karseell hair mask

Nel dicembre 2014 gli slovacchi Jozef Kristoffy e Martin Krasnansky hanno effettuato la prima salita di Fatal Attraction (8a+, 450m) a Jebel Rum, una via di più tiri ritenuta tra le più difficili in tutta la Giordania.

Verso la fine del 2014 i climbers slovacchi Jozef Kristoffy e Martin Krasnansky hanno trascorso un mese in Giordania, con l’obiettivo di aprire una difficile nuova via di arrampicata nei pressi di Wadi Rum. Dopo aver individuato una possibile linea sulla cima NE Dome nel massiccio del Jebel Rum, hanno iniziato a salire dal basso, aprendo 6 nuovi tiri (8a+, 6a+, 6c+, 6c+, 7a e 7b) per raggiungere la cengia chiamata ‘Champs-Élysées’. Da qui si sono collegati alla via Ramedame, aperta dai fratelli Remy, e seguendo questa per 6 tiri sono sbucati in vetta. La nuova via si chiama Fatal Attraction, è alta 420m complessivamente, ha soste attrezzate a spit e soli 11 spit sui tiri, ed è stata salita rotpunkt in 10 ore di arrampicata il 4 dicembre 2014. I due hanno poi impiegato le successive tre ore effettuando la discesa in corda doppia, descritta da loro stessi come “impegnativa”, lungo la via King Hussein.

Dopo una breve pausa Kristoffy e Krasnansky hanno salito due vie considerate tra le più difficili in Giordania, ovvero Glory, una via aperta dall’israeliano Ofer Blutrich di stampo sportivo (servono solo rinvii per la ripetizione 6a, 6c, 8a+, 7c+/8a, 6c) e Rock Empire, aperta sulla East Dome di Jebel Rum nel novembre 2005 dai cechi Benes, Sobotka e Rosecky (4,6c, 7b+, 8a, 7b+, 6b, 7a, 6b, 5 + 7 tiri di Raid Mit the Camel). Dopo averle ripetuto Kristoffy e Krasnansky ritengono che la loro Fatal Attraction sia molto più difficile e anche più “tradizionale” rispetto alle altre due. Per una eventuale ripetizione servono un set completo di dadi e Friends (micro e le misure 4, 5, 6) e a parte la parte bassa del primo tiro, ci sono pochissimi altri spit lungo i tiri.

Ringraziamento:
Krasnansky: adidas Kristoffy: HUDYteam, Beal

10/06/2007 -Arrampicare nel Wadi Rum
Al confine tra la Giordania e l’ Arabia Saudita, il deserto del Wadi Rum, per vivere l’arrampicata da mille e una notte…

Click Here: true religion mens jeans sale

Federica Mingolla ripete Tom et je ris 8b+ in Verdon

Il 2 ottobre 2014 la climber torinese Federica Mingolla ha ripetuto la spettacolare via Tom et je ris 8b+ nelle Gole del Verdon, Francia. Il racconto di Edoardo Falletta.

Tre giorni per risolvere il primo 8b+. Già questo è singolare. Se poi aggiungiamo che quel primo 8b+ non si trova proprio dietro l’angolo, ma a centinaia di chilometri da casa in una falesia mai vista prima, allora il tutto diventa più interessante. Ancor di più se quella “falesia” si chiama Verdon, il regno del vuoto più totale, e quel primo 8b+ si chiama Tom et je ris, ritenuta una delle vie sportive più belle e famose al mondo, dove, per venirne a capo, bisogna prima calarsi in quell’abisso e poi sperare e credere di trovare la sequenza giusta per uscirne. Un banco di prova non indifferente a cui si è sottoposta, la settimana scorsa, Federica Mingolla: 20enne climber torinese che di mese in mese sta facendo conoscere il suo grande talento per l’arrampicata sportiva. Federica studia Scienze Motorie e, strano a dirlo, arrampica da soli cinque anni. Lo scorso maggio è riuscita a salire il suo primo 8b, Fuga dal Ghetto in Valle di Lanzo, mentre giovedì scorso è arrivata la rotpunkt di quel primo 8b+ nel Verdon. Non avrebbe potuto fare scelta migliore, come racconta Edoardo Falletta.
TOM ET JE RIS PER FEDERICA MINGOLLA
di Edoardo Falletta

Cos’è Tom et je ris? Cosa evoca nell’immaginario degli arrampicatori questo nome che fa il verso ad uno dei più famosi cartoni animati per bambini? Anche se sei forte non è detto che tu sia in grado di confrontarti con questa linea che risalta così chiara e nitida agli occhi che dal belvedere panoramico la cercano nel centro della parete grigia sulla Rive Gauche. Roccia perfetta, vuoto mozzafiato, difficoltà nel raggiungere l’attacco e una complicata calata nel baratro per posizionare i rinvii sono gli ingredienti che rendono questo mono tiro di 60 metri un raro gioiello incastonato nel cuore delle Gorge du Verdon. Braccia muscolose e dita forti non sono affatto condizioni sufficienti per poter entrare nella ristretta cerchia di chi ha potuto toccare e salire le sue famose colonnettes di tufo. Ciò che conta davvero è la determinazione e una grandissima volontà che sono le indispensabili qualità di chi si appresta ad agganciare il discensore alla corda statica per iniziare la calata nel vuoto.

Più volte mi sono domandato se tutti i sacrifici che abbiamo fatto valessero davvero la pena per quella che in fondo non è che pietra gialla e grigia levigata dall’acqua e dai venti secchi che spirano dal fiume Verdon. Ma ho capito che se le tue mani almeno per una volta sono state sporche di magnesite e di sangue allora la risposta è si. Ne vale sempre la pena perché ogni sforzo sarà infine ripagato dalla gioia e dalla soddisfazione.

Queste righe non vogliono essere il racconto di come si scala un tiro ne di una linea di spit salita metro dopo metro. Questa è la storia di un sogno. Un sogno di una giovane ragazza che vive e studia a Torino. Una ragazzina che a ben vedere ha solo vent’anni ma che lasciando parlare i suoi gesti può insegnare agli adulti (o a quelli che si credono tali) cosa vuol dire essere determinati, forti nell’inseguire e realizzare i propri sogni e i propri obiettivi:

Tom et je ris nasce dalla felice intuizione di Bruno Clement che nel 2004 chioda la via dedicandola a suo figlio che ha da poco compiuto quattro anni. Il caso e il destino impiegano però dieci anni per fare incontrare Federica e Tom, che nel 2014 viene fotografato per la copertina di una rivista di arrampicata che finisce nella palestra dove lei si allena.
Il grado severo e l’elemento estetico che rendono questo tiro uno dei più suggestivi ed affascinanti di tutto il Verdon colpiscono subito Fede che dopo una rapida ricerca sul web capisce di poter davvero affrontare il lungo viaggio che partendo da una nicchia appena accennata nel bel mezzo della grigia parete ti porta ad uscire su un comodo balcone pieno di lavanda e timo che crescono endemici su questo alti piano.

Fede fin da subito intuisce che quei movimenti le appartengono, che una estenuante maratona verticale non la spaventa affatto. Salire 60 metri combattendo contro la ghisa scalando sempre sui piedi è uno stile che Fede ha imparato a fare suo e allora si è già a metà dell’opera… adesso bisogna andare davvero!

E’ la fine di maggio quando cominciamo a parlare concretamente del viaggio ma tra gare, esami all’università e l’estate che avvicinandosi rende torrido il clima del Verdon decidiamo che il mese ideale per partire è settembre. Arrivare in Verdon per la prima volta è davvero qualcosa di magico, di emozionante. Già in condizioni normali o quanto meno controllate la dimensione della verticalità non ammette alcun margine d’errore ma qui esitazione e improvvisazione non possono esistere. Qui a danzare sulla roccia ci si trova a cento metro da terra e ogni volo da rinvio a rinvio diventa più lungo e fa ancora più paura.

Il primo giorno sotto una pioggia incessante ma che non ci scoraggia riusciamo a trovare la sosta dove calarsi con la statica. Ovviamente la roccia è tutta bagnata e anche noi siamo fradici e infreddoliti. Decidiamo di tornare a La Palud, paesino di pochi abitanti che abbiamo eletto a nostro campo base. Il mattino che ci si presenta l’indomani è umido e grigio ma decidiamo di percorrere ugualmente il sentiero che in un ora e venti porta all’attacco.

La prima ricognizione su Tom et je ris serve per capire che l’inizio della via è in leggero strapiombo e che la scalata non sarà affatto facile. Dopo due giri per far proprie tutte le intense sezioni e capire dove riposare Fede arriva in sosta. Decidiamo comunque di rimandare tutto al giorno dopo, ormai si è fatto tardi e anche se lei vorrebbe fare un altro giro completo, dopo aver provato gli ultimi movimenti in top-rope ci incamminiamo sulla via del ritorno.

Quello che succede il terzo giorno è un segreto che solo Fede conosce e che sicuramente vorrà custodire gelosamente nel profondo del proprio cuore. Chi fa sicura su Tom, dopo pochi rinvii non vede più chi arrampica che allora si trova ad essere da solo immerso nel vuoto. Fede arrampica, fa quello che meglio sa fare, presa dopo presa, pinza dopo pinza. Lei sale. Si ferma per riposare cinque minuti, sono troppi questi minuti. Noi da sopra li contiamo passare lenti con il cuore in gola. I piedi in spaccata si spalmano sulla sfuggente roccia e poi, nello spazio di quello che pare un secolo e che poi si rivelerà un giro completo di orologio, la testa di Fede appare sulla cengia.

Non parla, non un fiato, non un grido. Tanto lo sappiamo che sarebbe superfluo, totalmente inutile. Gli occhi le brillano forte. Noi la guardiamo stupiti e in quel momento che conservo ancora nitido, stiamo a guardarci in silenzio ad un passo dallo strapiombo. Felici di aver faticato e sudato ogni mattina sul maledetto sentiero di avvicinamento, felici di aver portato sulle spalle zaini pesantissimi carichi di tanto e troppo materiale, felici di aver saltato pranzi e aver mangiato male a cene. Orgogliosi di essere li. Per Fede. Se lo merita.

Un ringraziamento speciale lo devo a Tommaso che pur non essendo uno scalatore non si è fatto scoraggiare dal vuoto del Verdon e ha fatto ronzare i suoi droni sulla testa di Fede per riprendere i bei momenti della scalata.
A Elio che con la sua esperienza ha reso più sicura la nostra permanenza sul bordo dello strapiombo della Rive Gauche e che con le sue meravigliose fotografie ha documentato questa grandiosa prestazione.
Ad Andrea che con la sua immensa gentilezza, disponibilità e simpatia ha fatto sicura a Fede quando ce n’era davvero (davvero… ma dai) bisogno.
L’ultimo ringraziamento va a Federica Mingolla che con la sua energia è sempre fonte di grande ispirazione per tutti noi che abbiamo l’onore e il privilegio di conoscerla e poterla chiamare nostra amica.

Si ringraziano inoltre gli sponsor che con il loro fondamentale contributo hanno permesso a Federica di fare questa bella esperienza; Petzl, Wild Climb, Bshopzone, Ferrino, Avrio Drone
Si consiglia inoltre di leggere www.blogside.it per i dettagli circa l’avvicinamento.

Arrampicare nelle Gorges du Verdon
Una selezione di fantasiche vie di più tiri nelle Gorges du Verdon, Haute-Provence, Francia.

Click Here: Maori All Blacks Store

Dawn Wall: nuovi importanti progressi di Caldwell e Jorgeson su El Capitan

Sia Tommy Caldwell che Kevin Jorgeson hanno fatto grandi progressi nel loro tentativo di salire in libera e dal basso la Dawn Wall su El Capitan, Yosemite, USA.

Australia, Belgio, Cile, Cina, Danimarca … Italia, Fiji, Francia, Germania … USA, UK … l’interesse senza precedenti per Dawn Wall è decisamente andato oltre i confini del parco dello Yosemite, sbarcando in tutto il mondo come nessun’altra via di arrampicata che si possa ricordare. Quasi tutti i principali giornali, radio ed emittenti TV stanno dedicando grande attenzione agli sforzi di Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson, attualmente a poco più di metà altezza su El Capitan, e nello Yosemite sono persino arrivati giornalisti dell’emittente ABC Good Morning America e di The New York Times. Quest’ultimo sta persino fornendo ai suoi lettori la possibilità di scrivere domande e ricevere risposte da esperti del calibro di top climber quali Alex Honnold e Beth Rodden, ed inoltre ha pubblicato un bel modello interattivo in 3D delle ‘Vie più Inospitali di El Capitan’.

Quanto alla arrampicata, qualcosa di molto speciale è accaduto venerdì durante il 14° giorno in parete. Dopo essere partiti il 27 dicembre, Caldwell e Jorgeson hanno velocemente salito la prima metà della parete, da lì in poi però sono stati necessari più tempo e più sforzi per salire in libera i tre tiri chiave a metà. Caldwell è riuscito per primo a salirle in libera, scegliendo di non fare il famoso salto sul 16° tiro ma di scendere in arrampicata e prendere una linea più a sinistra, mentre Jorgeson lottava duramente contro la sua battaglia personale, ovvero il 15° tiro con le prese affilate come un rasoio proprio alla fine del traverso.

Jorgeson continuava a cadere lì, ben 11 preziosi tentativi distribuiti su 7 giorni e notti quando l’aderenza è al suo meglio, fino a venerdì quando il cielo si è coperto e, poco dopo mezzogiorno, è finalmente riuscito a raggiungere la sosta. Non contento, è poi anche riuscito a fare il famoso lancio sull’altrettanto difficile 16° tiro, solo per cadere nel diedro più in alto. Ieri invece Jorgeson è riuscito a chiudere i conti con questo tiro e adesso sta recuperando nei confronti di Caldwell che, nel frattempo, si era spinto ancora più in alto, fino al 20° tiro e la famosa Wino Tower che segna la fine delle difficoltà tecniche.

Da qui fino in cima mancano altri 12 tiri su terreno molto più facile e anche se la loro avventura non è ancora finita, dopo i successi di venerdì e sabato, e dopo quella che loro stessi definiscono ‘l’arrampicata più memorabile’ di tutta la loro vita, Caldwell e Jorgeson sono ormai messi molto bene per raggiungere la vetta di El Capitan nel corso della prossima settimana.

Per saperne di più, rimanete sintonizzati conCaldwelleJorgesonsu Facebook, oppure visitate il sitoEl Cap reportcon gli aggiornamenti quotidiani e le foto di Tom Evans.

Click Here: All Blacks Rugby Jersey

DAWN WALL EL CAPITAN
07/01/2015 -Dawn Wall push, Tommy Caldwell sale l’ultimo tiro chiave
05/01/2015 – Dawn Wall Push: Caldwell e Jorgeson raggiungono nuove altezze in Yosemite
01/01/2015 – Su El Capitan Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson tentano la Dawn Wall
19/11/2014 – Tommy Caldwell, importante avanzamento sulla Dawn Wall in Yosemite
19/12/2013 – Dawn Wall: grandi progressi per Caldwell e Jorgeson su El Capitan
21/10/2013 – Yosemite, si arrampica nuovamente sulla Dawn Wall
24/01/2013 – Tommy Caldwell e Dawn Wall su El Capitan
13/11/2013 – Dawn Wall, il progetto su El Capitan continua
23/11/2011 – Tommy Caldwell abbandona la Dawn Wall
18/11/2011 – Tommy Caldwell, aggiornamenti su Dawn Wall
03/11/2011 – Tommy Caldwell sempre più in alto su Dawn Wall, El Capitan
24/10/2011 – El Capitan: Golden Gate, Freerider, the Prophet e Dawn Wall
22/11/2010 – Mescalito, Caldwell e Jorgeson abbandonano El Capitan
17/11/2010 – Mescalito in diretta da El Capitan per Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson
20/10/2010 – Mescalito su El Capitan, il progetto continua per Caldwell e Jorgeson
26/03/2010 – Mescalito live su El Capitan per Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson

Giorgia Tesio vista da Cristian Core

Il video di Cristian Core sulla giovane climber Giorgia Tesio.

Giorgia Tesio è una delle stelle nascenti del boulder italiano. La 14enne climber di Mondovì si muove con disinvoltura dalla roccia alla plastica, dalle gare di boulder e quelle di lead e i risultati sono a dir poco eccellenti: Campionessa Italiana Boulder Under 16 ad Arco lo scorso giugno, 3° posto nella gara Lead di Padova del 23 settembre e il famoso test Rampage 8A a Varazze, per nominare soltanto tre esempi. Il tutto alimentato da una fresca gioia per l’arrampicata, testimoniata in questo video da uno che qualcosa se ne intende: Christian Core.

Click Here: Newcastle United Shop

Artist Xing Qingren back in spotlight after 30 years

Three decades ago, Xing Qingren, hailing from Shaanxi province, rose to fame for his colored ink painting, Rosy Memories, which won the gold prize at the seventh National Fine Art Awards and Exhibition. But then he shunned the spotlight and focused on his works.

Click Here: Crystal Palace Shop

Unlike many of his contemporaries who moved to Beijing for a better career prospect, Xing has been living in and traveling across his native province. He creates landscapes of the Yellow Plateau and portraits of people, mostly villagers — he himself was raised up in a rural family.

Xing named the title of his first solo exhibition now on at the National Art Museum of China in Beijing, “I Came From Chang’an” to express his deep love of the land he was born into.

The exhibition through Aug 25 shows dozens of his ink paintings in which Xing profiles the inner world of people living in the extensive northwestern region of China: straightforward, honest and simple.

“I’ve never stopped working. I’ve been in the pursuit of the truth of life, the art and the identity of myself,” Xing said.

“Life is meaningful only when people stop hiding and pretending, and accept their own true faces, for truth is the bones and souls of all art.”