Barbara Raudner, Honig 8c

Il 03/10/2011 Barbara Raudner ha ripetuto Honig 8c nell’ Höllental, Austria

Quanti 8c bisogna salire prima di fare il salto all’ 8c+? Probabilmente è questo quello che si sta domandando l’austriaca Barbara Raudner che all’inizio di ottobre è riuscita a salire il suo quinto 8c, Honig nella falesia di Höllental.

Liberata da Bernie Fiedler nel 2007, la via di 45m è composta da una prima parte lunga 25m di 7c+, seguita da tre passi chiave separati da buoni riposi. Raudner è riuscita nella rotpunkt il 3 ottobre e Honig si aggiunge quindi a Keitos Palast (con questa salita nel 2006 la Raudner era diventata la prima donna austriaca a salire questo grado), Selbst ist das Kind (2007), Doubleoverhead (2008) e Mauerblümchen 8b/8c (2010, prima salita).

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Bhagirathi, nuova via per Daniele Nardi e Roberto Delle Monache

Nel gruppo dei Bhagirathi (India) gli alpinisti Daniele Nardi e Roberto Delle Monache hanno aperto una nuova via tra il Bhagirathi III (6457m) ed il Bhagirathi IV (6193m).

I due alpinisti sono partiti nella notte del 13 settembre e sono rientrati al Campo Base il 16 settembre, 64 ore più tardi, dopo aver effettuato due bivacchi in parete ed affrontato i 1200m di salita mista con difficoltà fino a M6/M7 A3 WI5+. I due sono sbucati sulla cresta sommitale ma per le proibitive condizioni meteo si sono ritirati a circa 200 m dalla vetta del Bhagirathi III.

Nardi e Delle Monache hanno riportato un principio di congelamento ai piedi ed alle mani e hanno quindi anticipato il rientro della spedizione in Italia.

L’intervista audio a Daniele Nardi con tutto il report della salita:

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Boulder a non finire: Daniel Woods, Chris Webb Parsons, Matty Hong e Sean McColl

Un gennaio da incorniciare per il boulder ad alto livello. Ecco alcune delle ultime novità, tra cui spicca la prima salita di Mind to Motion 8B+ a Elkland (USA) di Daniel Woods.

Stanno arrivando una dopo l’altra, e sarà difficile starci dietro, splendide notizie di eccezionali performance nel boulder durante queste fredde giornate invernali.

Iniziamo la breve panoramica degli ultimi giorni con la notizia dell’australiano Chris Webb Parsons che ieri a Hueco Tanks ha ripetuto Desperanza 8C, il boulder liberato da Daniel Woods nel 2010. Parsons aveva quasi chiuso il boulder al primo tentativo, poi invece ha avuto bisogno di due altri giorni per venire a capo del problema risolvendolo alla grande.

Parliamo ora dello statunitense Daniel Woods che dopo aver chiuso Mirror Reality all’inizio del mese, nel Rocky Mountain National Park, ha ora liberato Mind to Motion nella vicina zona boulder Elkland (nota anche come Nicky’s boulders). Un masso strapiombante a 35° per "uno dei boulder più cool che abbia mai fatto", afferma Woods, dando giustamente credito al suo amico Dave Graham che aveva scoperto e pulito il masso. Aggiungendo poi che "l’occhio di Graham per i boulder è sicuramente uno dei migliori. Mi sento privilegiato a poter apprendere dal maestro."

Continuando a parlare di Graham e Woods, come avevamo riportato a fine 2011 Graham aveva liberato Memory is Parallax. Questo 8B+ è stato ripetuto in questi giorni da Woods ed anche da Matty Hong, apparentemente un nome poco conosciuto, ma talento emergente da seguire, soprattutto dopo il sesto posto nella Coppa del Mondo Lead a Colorado nel 2011.

Chiudiamo questa carrellata con Sean McColl, sicuramente uno degli atleti più completi del momento, che a Fontainebleau in Francia ha chiuso Khéops Assis in giornata. Liberato da Antoine Vandeputte, questo è il primo 8B+ che il canadese chiude cosi rapidamente e, considerando le altre salite di cui vi abbiamo appena parlato, cominciamo ad apprendere quanto il boulder possa rapidamente progredire!

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Steve House e l’iniziativa Alpine Mentors

L’alpinista statunitense Steve House ha avviato l’iniziativa “Alpine Mentors” per giovani arrampicatori e alpinisti.

Uno degli alpinisti più conosciuti e celebrati, il 41enne statunitense Steve House, ha avviato una nuova interessante iniziativa rivolta ai giovani arrampicatori e alpinisti. Con il suo “Alpine Mentors”, così si chiama l’iniziativa, House intende promuovere l’alpinismo, incoraggiando, insegnando ed arrampicando con giovani alpinisti che aspirano a scalare le più alte montagne del mondo con uno stile leggero e minimo impatto.

Attualmente vengono accettate le iscrizioni per accedere al programma e i candidati selezionati arrampicheranno a fianco ad una serie di “mentori”, compreso House e il suo compagno di cordata Vince Anderson, con l’obiettivo di effettuare salite che siano percepite inizialmente come troppo difficili per i giovani alpinisti. Il clou del programma è una spedizione in Asia o in Sud America prevista nel 2013.

L’idea alla base di questa iniziativa nasce da House che nel 2010 è stato coinvolto in un incidente di montagna sul Mount Temple. “A casa ho riflettuto sul fatto che mentre aspettavo che l’elicottero mi salvasse, non desideravo aver arrampicato di più, ma ero pentito di non aver fatto di più per la mia tribù”, ha spiegato House, consapevole del fatto che nei suoi anni formativi lui stesso aveva beneficiato molto da alpinisti ben più esperti, come ad esempio alcuni top alpinisti sloveni, e alpinisti statunitensi come Barry Blanchard, Steve Swenson, Scott Backes e Mark Twight.

Mentre l’arrampicata è un aspetto fondamentale del programma, House spera che i giovani condivideranno la sua visione più ampia: “… di comunicare la loro esperienza con umiltà e integrità, di agire per correggere gli impatti ambientali dell’arrampicata, di raffrontarsi in maniera rispettosa con le comunità che li ospitano, e di promuovere un clima di sostegno all’interno delle comunità d’arrampicata locali e internazionali a tutti i livelli.”

Le iscrizioni, di alpinisti di tutte le nazionalità, veranno accettate fino al 1° aprile 2012 compilando la scheda sul sito web: alpinementors.org

Border Country, la via e il tributo a Jonny Copp e Micah Dash

Il video di Jeremy Collins della sua via Border Country in Yosemite, aperta assieme a Mikey Schaefer e dedicata a Jonny Copp e Micah Dash.

Questa è la storia della nuova via Border Country, aperta sulla parete nord-ovest di Middle Cathedral in Yosemite nella primavera del 2010. Meglio ancora, è un racconto, commovente, e omaggio artistico agli alpinisti statunitensi Jonny Copp e Micah Dash, scomparsi in una valanga in Cina nell’estate del 2009. Assolutamente da vedere.

Jonny Copp e Micah Dash
riprodotto da American Alpine Club
Jonny Copp e Micah Dash erano due tra i più forti alpinisti statunitensi, si avventuravano agli estremi angoli del mondo in cerca di prime salite nel più puro stile possibile. E’ stato durante una di queste spedizioni che, nel maggio 2009, nella parte occidentale della provincia cinese del Sichuan, che sono stati travolti da una valanga assieme al regista Wade Johnson. Con la morte di Jonny e Mica il Nord America ha perso due dei più grandi alpinisti, personaggi e narratori che il mondo dell’arrampicata abbia avuto negli ultimi in tempi.

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Trango Tower, il video trailer della salita di Lama, Ortner e Rich lungo la via Eternal Flame

Il video delle Trango Towers e della salita di David Lama, Peter Ortner e Corey Rich sulla via Eternal Flame, Nameless Tower (6251m), Trango Towers, Karakorum.

Il filmato sta attualmente facendo il giro del mondo, dalla statunitense CBS alla tedesca Der Spiegel, è non sorprende affatto perché vedere montagne da questa prospettiva è qualcosa di davvero inusuale. Quasi un dolce “volo d’aquila”, in questo caso per scoprire i famosi Trango Towers nel Karakorum Pakistano ed in particolare la Nameless Tower, salito dagli austriaci David Lama  (22), Peter Ortner (29) e dallo statunitense Corey Rich quest’estate lungo la famosa Eternal Flame.

Il filmato è stato girato da un piccolo elicottero Drone con quattro rotori, guidato dallo svizzero Remo Masina che indossava degli speciali occhiali che gli permettevano di vedere live le riprese da 6200m, come se fosse seduto comodamente nel cockpit. Questo clip dura soli due minuti, mentre è già in lavorazione un film di 30 minuti.

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Il Maratoneta, la 3a ripetizione di Ivan Lisica-Lija e un po’ di storia della famosa via di Manolo

Il 27/01/2013 il climber croato Ivan Lisica-Lija ha realizzato la terza ripetizione de Il Maratoneta, la mitica via aperta e liberata da Maurizio “Manolo” Zanolla a Paklenica (Croazia).

Si chiama Il Maratoneta. Si trova a Paklenica, in Croazia. E’ alta 15 metri e, secondo Ivan Lisica-Lija, climber croato di Spalato che il 27 gennaio scorso ne ha ha fatto la terza ripetizione, è una via molto bella ed estetica che offre un’arrampicata “molto old school, ovvero richiede super precisione e grande tecnica di placca”. Era il 1987 quando Manolo scoprì quella perfetta lastra di roccia. All’epoca come un Forest Gump ante litteram (il film interpretato da Tom Hanks è del 1994) Manolo alternava l’arrampicata alla corsa. Ed è proprio così, in una di quelle sessioni di corsa, che fu catturato da quella linea, il Maratoneta appunto. Forse era proprio quello che cercava. O forse è stata quella perfetta e liscia parete a trovarlo. Fatto sta che l’ha subito chiodata. “I primi giorni” racconta Manolo “cadevo sempre verso la fine. Allora ho lasciato perdere, anche perchè in quel periodo la temperatura era già piuttosto alta e la pelle delle dita aveva bisogno di rifarsi. Ho ripreso la corsa fino a Spalato, e quando, dopo qualche giorno sono ritornato, ci sono riuscito”. Il resto racconta di una via da “leggenda”. Basti dire che la prima ripetizione arriva nel 2001 (14 anni dopo) ad opera dello sloveno Uros Perko, seguito l’anno dopo dal connazionale Marko Lukic. E ora, a distanza di 26 anni dalla prima libera, ecco la terza ripetizione e prima salita croata del 32enne Ivan Lisica-Lija, un climber con un’intensa attività di scopritore e salitore di nuove linee in tutta la Dalmazia. Tutti e tre i ripetitori confermano il grado di 8b+ proposto da Manolo all’epoca. A questo punto forse bisognerebbe sottolineare come l’8b+ nel 1987 fosse una difficoltà al top assoluto. E anche, forse, come questa via non abbia avuto il risalto che meritava (come del resto Malvasia, l’altra via “mito” di Manolo in Croazia, chiodata nel 1987 e poi liberata da Manolo nel 1988 e quindi ripetuta nel 2011 da Cody Roth). Ma probabilmente questi sono dettagli. Resta il fatto di come Il Maratoneta, e quella visione di 26 anni fa, riesca ancora a motivare e far sognare climber come Ivan Lisica-Lija. “Forse l’ho provata per la prima volta 10 anni fa” ci ha raccontato “per accarezzare le prese, ma non è stato niente di serio fino all’estate scorsa, quando per 3 giorni l’ho provata in condizioni quasi impossibili. È per questo che sono tornato quest’inverno e mi ci sono voluti 4 giorni per risolverla”. Inutile dire che è super contento di esserci riuscito. Che a lui vanno i nostri complimenti ma anche quelli di Manolo, a cui non potevamo fare a meno di chiedere qualcosa su quella via, di quei tempi ma anche della sua arrampicata di allora e di adesso.


Il Maratoneta… anno 1987. Manolo prima di tutto mi piacerebbe capire cosa ti ricordi di quella via (a guardar la tua foto dell’epoca, gli “appigli” sembrano abbastanza piccoli). Se ti domandassi un flashback istantaneo, un attimo, cosa mi racconteresti?

Mi ricordo che appena ho visto quel “lastrone” appoggiato sulla parete della gola, proprio sul sentiero che se ne stava all’ombra praticamente tutto il giorno, avevo proprio trovato quello che stavo cercando.

Avevi 29 anni, eri appena tornato da un viaggio-arrampicata negli States con Mauro Corona (una storia nella storia), eri in forma strepitosa tanté che The Nose al Capitan ti aveva regalato una “quasi” on-sight, e correvi 40-50 km al giorno… mi verrebbe da chiederti da cosa scappavi. Invece ti chiedo cos’era allora l’arrampicata per te e a cosa aspiravi…
Non scappavo da nessuna parte, anzi stavo inseguendo il mio record personale nel peso “al ribasso naturalmente”, ed ero in splendida forma, mi sentivo bene e volevo fare qualcosa di più difficile. In California avevo fatto delle belle cose, ma adesso non c’era niente di più stimolante che cercare nuove linee in posti così. Certo ero in vacanza… quella vacanza al mare che quasi tutti noi, che viviamo fra le montagne, almeno una volta all’anno vorremmo fare, ma con il trapano… e con licenza di usarlo, non certo su spiagge sabbiose. Quando ho chiodato quel tiro non mi sembrava proprio difficile anche perchè non era molto lungo, le tacche erano piuttosto nette e pensavo di riuscire in fretta. Mi ricordava molto Terminator in Totoga, ma ai primi tentativi quelle liste diventarono subito aggressive; grattugiavano la forza e la pelle e la temperatura già elevata non mi permetteva di provare molto. Allora… Riposo… Strana parola, ma era qualcosa che avevo iniziato a prendere in considerazione proprio negli Stati Uniti. Funzionava! Riscaldamento… che non era rimanere al sole per 4 ore. Funzionava! E, funzionò.

Il Maratoneta e poi Malvasia, l’altra via “mitica” che hai firmato in Croazia, all’epoca cosa hanno rappresentato per te? Erano vie speciali? E quando una via è speciale per te?
Sì! Sono speciali! Perchè prima di tutto sono belle, diverse, lontane da casa e anche fra loro. Mi sono venute incontro proprio mentre le stavo cercando. Erano la mia scalata ed era quello che potevo permettermi in quel momento senza spendere troppo tempo. Due linee che definirei “con una personalità decisa”.

Faccenda “spinosa”, e irrilevante probabilmente, ma come hai fatto a “gradarle”? Insomma, che “spanne” usavi per dare i gradi, e che importanza gli davi?
Non è stato difficile; era un periodo in cui cercavo di migliorare con tutta la mia energia e stavo diventando sempre più forte, lo confermava tutto quello che facevo, potevo allenarmi due volte al giorno. Continuavo a migliorare e queste vie mi sembravano semplicemente più difficili di quello che avevo fatto prima. Non avevo in quel momento dei punti di riferimento precisi con altre vie, sentivo solo che per me erano più difficili, e come sempre ho proposto un grado.

Ora, riguardando indietro a Il Maratoneta e a Malvasia, e pensando che dopo 22 anni, nel 2009, hai centrato il 9a di Eternit, e poi l’anno scorso il 9a di Roby Present… ci spieghi quali sono, se ci sono, le differenze tra la tua capacità di arrampicare di allora e quella di adesso. Indubbiamente c’è stato un progresso… quindi quali sono le differenze? Ma anche quali doti e capacità (da “vecchietto”) ti aiutano di più per continuare a migliorarti?
In quel particolare momento ero molto interessato ad esplorare i miei limiti fisici. Purtroppo subito dopo Malvasya due gravi incidenti mi hanno fermato per quasi due anni e in questo periodo l’interesse per la difficoltà pura è quasi sparito. Mi piaceva ancora molto scalare sul difficile, ma ero anche molto attratto dall’alpinismo e continuavo a scalare le montagne. Sognavo di poterlo fare in Patagonia, in Himalaya, in Groenlandia, ma tutti questi sogni sono stati nuovamente spazzati via da altri infortuni che mi hanno costretto a chiudere definitivamente. Quando la vita non mi ha più permesso di poter fare quel tipo di Alpinismo, mi sono rimesso in gioco sulla difficoltà. All’inizio è stato molto difficile, mi rendevo conto di essere rimasto indietro, mi mancava molta forza esplosiva e anche molta resistenza per le cose davvero difficili. Per la forza pura è stato “relativamente” facile, ma per la resistenza ho dovuto adattarmi a qualcosa che non avevo praticamente quasi mai fatto prima: lavorare le vie. Non mi piaceva, non ero abituato mentalmente, ma mi ha portato a capire diverse cose, fra queste che avevo ancora grandi margini di miglioramento. Dovevo però imparare a gestire in un modo più intelligente e senza sprechi la forza fisica che lentamente, ma inevitabilmente, se ne sarebbe andata. Fortunatamente la forza mentale non mi mancava. Ci sono riuscito forse perchè ho anche ereditato un minimo di talento per scalare ma sopratutto per merito anche di un duro lavoro, perchè il talento, almeno quello sportivo, se lasciato solo si ferma sempre da qualche parte molto prima. Insomma potevo fare molto meglio e molto prima, ma potevo anche non fare niente, e va bene così.

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Coppa Italia Lead e Speed al King Rock di Verona

Sabato e domenica 24-25 agosto 2012, presso la sede del centro di arrampicata King Rock di Palazzina-Verona, si terrà la Gara di Coppa Italia Speed e Lead, maschile e femminile.
A competere saranno i migliori specialisti dell’arrampicata sportiva italiana, tra i quali Jenny Lavarda e Stefano Ghisolfi, campione italiano in carica.

Gli atleti sfideranno in due discipline diverse tra loro: nella gara Speed vince chi supera nel minor tempo i 14 metri della parete; nella gara Lead è la difficoltà dell’itinerario a contare e a mettere a dura prova gli atleti per il raggiungimento della presa più alta.

Programma: l’evento avrà inizio alle ore 11.00 di sabato, con le qualificazioni della gara Speed. Alle ore 17.00 si assisterà alle semifinali e finali Speed. Si continuerà nella giornata di domenica con la gara Lead, a partire dalle ore 10.00 con le semifinali. Alle ore 16.30 seguiranno le finali e le premiazioni.

La gara è stata organizzata con il patrocinio dell’Assessorato allo Sport del Comune di Verona e con la partecipazione dell’Agsm. L’evento è aperto al pubblico, con entrata gratuita. Appassionati e i curiosi sono invitati ad assistere alla gara.

Nell’arco di quattro anni il centro King Rock ha ospitato diverse competizioni nazionali. oltre agli atleti di fama internazionale, tra cui il campione del mondo Ramon Puigblanque, che nel 2011 ha vinto la gara più prestigiosa del settore, il Rock Master di Arco.

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Nuova via sul Kemailong nello Shaluli Shan, Cina

Nel massiccio dello Shaluli Shan in Cina, Dave Anderson e Szu-ting Yi hanno salito l’inviolato Kemailong (5870m).

Una spedizione statunitense / taiwanese ha trascorso un mese nel remoto massiccio dello Shaluli Shan, situato nella parte occidentale del Sichuan in Cina, riuscendo nella prima salita della suggestiva torre di granito Kemailong (5870m). Il 1° ottobre 2012, Dave Anderson e Szu-ting Yi hanno scalata la cresta sud, lunga circa 1000m, fino in cima per poi scendere lungo la parete est e tornare al loro campo alto. Il tutto in 18 ore complessive, affrontando difficoltà di V, 5.10, M5. Anderson e Yi hanno chiamato la via Joining Hands – le mani che si uniscono – e il nome riflette il loro comune impegno, logistico e arrampicatorio, per salire con successo la montagna.

Questa è stata la terza spedizione di Anderson nello Shaluli Shan negli ultimi sei anni. Nell’ottobre del 2006 Anderson e la canadese Sarah Heuniken avevano completato la prima salita del Sachun (5716m), una guglia simile a quelle della Patagonia, per la via “Dang Ba ’Dren Pa” (5.10+ A0 M5 70°). Mentre lo scorso settembre Anderson era tornato con lo statunitense Eric Salazar e la taiwanese Szu-ting Yi per salire la cresta ovest dell’inviolata Crown Mountain 5600m (IV, 5.7, 60°).

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Per quanto riguarda invece il Kemailong, nell’autunno del 2012 Anderson e Yi hanno preso di mira questa cima situata alcune vallata a nord-est del Monte Genyen che con i suoi 6203m è la montagna più alta della zona. La spedizione ha rischiato di non iniziare nemmeno quando nella città di Lamaya i conduttori dei cavalli che dovevano trasportare il loro materiale hanno scoperto la loro attrezzatura. Il problema non era legato a questioni di permessi, o al fatto che la cima fosse considerata sacra, ma si trattava di una forma di auto tutela. Infatti, nel 2006 gli alpinisti statunitensi Charlie Fowler e Christine Boskoff erano scomparsi nel massiccio dello Shaluli Shan e, prima della scoperta della scoperta dei loro corpi sepolti dalla valanga che li aveva uccisi sulle pendici del Genyen, le autorità cinesi avevano imprigionato molti dei conduttori dei cavalli di Lamaya, sospettando che avessero qualcosa a che fare con la scomparsa degli statunitensi. Di conseguenza, sei anni più tardi, i conduttori dei cavalli avevano ancora molta paura ad aiutare gli alpinisti. Per risolvere il problema, Yi e Anderson hanno scritto, firmato e messo le loro impronte su una sorta di "manlèva" assumendosi ogni responsabilità nel caso in cui non fossero tornati a Kemailong.

Durante l’avvicinamento, Anderson è rimasto stupito dai cambiamenti avvenuti nella zona negli ultimi sei anni. Ormai nuove strade e linee elettriche attraversano questa remota regione che, in precedenza, era stata il regno dei nomadi e dei loro yak.

Al campo base del Kemailong, Anderson e Yi hanno inizialmente dovuto lottare contro il maltempo soltanto per riuscire a vedere la parte inferiore della montagna. Alla fine le nubi si sono sufficientemente diradate per progettare una possibile linea di salita. Le tre settimane trascorse al di sopra dei 4000m prima di questa salita, per il loro lavoro di guide alpine, hanno permesso ad Anderson e Yi di salire rapidamente attraverso un’estenuante serie di boulder lungo i 1000m del versante sud del Kemailong e stabilire un primo campo a 5200m.

Il 1° ottobre le previsioni meteo della mezzanotte hanno rivelata stelle invece della solita nebbia e grandine. Alle 07:00 Anderson e Yi hanno salito tre tiri di misto per raggiungere la sella sulla cresta sud. Da lì la coppia ha salito il largo crinale (V) per quasi 900m. Quando il crinale è diventato più stretto l’arrampicata è diventata più difficile, ma il granito ben appigliato a reso i successivi quattro tiri non più difficili del V°. La roccia ha continuato a migliorare e il team è riuscito a salire 400m in conserva, per roccia simile a quella della East Ridge di Wolf’s Head nel Cirque of the Towers (Wyoming, USA). Alcuni tiri di misto hanno poi portato ad un’anticima, mentre più in alto la cima vera distava ancora alcuni tiri, passando per una serie di “gendarmi” coperti di neve. Il tiro finale è iniziato con una difficile e strapiombante fessura ad incastro di mani (6a) prima di trasformarsi in placca sprotetta che ha condotto alla vetta.

Quando Anderson e Yi hanno raggiunto la cima alle 17:00, il tempo si è deteriorato. Raffiche di vento, grandine e scariche elettriche hanno colpito gli alpinisti mentre scendevano dalla vetta. Il loro piano originale era di scendere per la cresta sud, ma tutta la loro attrezzatura in metallo crepitava ancora a causa della tempesta elettrica, e Anderson e Yi hanno deciso di scendere velocemente la ripida, ma sconosciuta, parete est (700m). Il tempo ha continuato a peggiorare con forti nevicate che hanno reso ancora più difficile scovare le fessure per le soste delle discese in doppia.

Finalmente, dopo varie corde bloccate e dopo aver abbandonato in parete la maggior parte della loro attrezzatura nelle 13 doppie, Anderson e Yi sono rientrati al loro campo alto alle 1:00 di notte. La mattina seguente, con tempo ancora instabile, si sono diretti al campo base, hanno preparato i bagagli esono scesi a piedi, proprio mentre stava arrivando l’inverno nel massiccio dello Shaluli Shan.

"Questo è un periodo interessante per esplorare le montagne nella Cina occidentale" ha detto Anderson. "Attualmente il governo cinese sta investendo molto nelle infrastrutture dello Sichuan occidentale. Questo miglioramento delle strade e gli aeroporti nuovi hanno ridotto drasticamente i tempi di avvicinamento. Tuttavia, anche se accedere a queste zone è ora più facile, le logistiche legate alla burocrazia, il nazionalismo, le diversità sociali e culturali della Cina rimangono una bella sfida."

Gli alpinisti ringraziano Planet Granite, il AAC Lyman Spitzer Cutting Edge Award, Atunas, Patagonia, Evolve e NOLS per aver reso questa spedizione possibile.

di Dave Anderson

2011 – Inseguendo fantasmi e sogni sugli altipiani tibetani

Valanga sul Monte Bianco – Mont Maudit: aggiornamento sui soccorsi

L’aggiornamento di Alessandro Cortinovis, direttore del Soccorso Alpino della Valle d’Aosta, sulla valanga del Mont Maudit che questa mattina alle 5:20 ha causato la morte di 9 alpinisti e 14 feriti.

Aggiornamento 13/07/2012 – ore 11:00
A Chamonix si attende l’arrivo dei famigliari delle 9 vittime della valanga di ieri mattina. Le autorità francesi hanno confermato che si tratta di 3 alpinisti britannici, 2 tedeschi, 2 svizzeri e 2 spagnoli. Tra questi Roger Payne, 55enne guida alpina britannica già Segretario Generale della BMC (The British Mountaineering Council) e presidente delle guide alpine britanniche, con un’intensa attività alpinistica in Himalaya ma anche uno dei più apprezzati istruttori di alpinismo. A tutti famigliari delle vittime va il cordoglio unanime del mondo dell’alpinismo.

Aggiornamento ore 19:50
Ultim’ora: sono stati ritrovati gli alpinisti finora dati per dispersi. Finalmente una buona notizia.

Pubblicato ore 17:40
Questo il punto sintetico della situazione alle 17:40 di Alessandro Cortinovis, direttore del Soccorso Alpino Valdostano: attualmente le operazioni di soccorso, dirette dalla Gendarmeria di Chamonix che ha richiesto anche il contributo del Soccorso Alpino Valdostano e della Guardia di Finanza, sono state sospese.

Il bilancio di 9 morti a causa della valanga resta invariato. E’ salito invece a 14 il numero dei feriti. Restano ancora tra 4 e 5 gli alpinisti dispersi. Per questi, nelle prossime ore, si continuerà la verifica se siano eventualmente riusciti a scendere autonomamente. Sembra ormai accertato, infatti, che facessero parte di un gruppo partito alle 1,30 di questa notte, quindi potrebbero anche non essere stati interessati dalla valanga e trovarsi, per esempio, in discesa sul versante francese del Goutier.

Per quanto riguarda invece le cause di questo vero e proprio disastro sembra ormai chiaro che quello che ha fatto staccare la placca e provocato la valanga sia stato il crollo di una porzione dei seracchi soprastanti il pendio che conduce al Mont Maudit. Come si sa questo avviene da sempre in alta montagna e ha ragioni soprattutto fisiche: il ghiacciaio si muove e la forza di gravità combinata con il peso enorme dei seracchi fa il resto.

>> vai alla precedente notizia sulla Valanga del Mont Maudit (Monte Bianco)

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